maxim cape town night
15 Novembre 2006
[it]ho aggiunto nel fashion un servizio che ho fatto a cape town scattando di notte e usando solo le luci[...]
PREMESSA: no, non è un post su quanto sia importante/figo/efficiente essere veloci quando si scatta. Ovviamente lo è, ma non è quello il punto, adesso, qui.
SECONDA PREMESSA: nei miei incontri/workshop amo raccontare questo: in inglese si dice shooting sia per scattare fotografie che per sparare. E già questa mi sembra una cosa molto interessante, perché in effetti le due cose sono molto più legate di quanto si possa immaginare. Usando quindi la lingua anglosassone mi piace pensare a me fotografo come un killer. E se penso a un killer mi immagino, come da tradizione cinematografica due tipi di killer: uno che arriva, supponiamo in un luogo molto affollato, fa un enorme casino con mitra, pistole, bombe e nonostante questo la sua ipotetica vittima alla fine della scena sbuca da sotto un tavolo tutta tranquilla ma soprattutto sana e salva, e l’altro killer che invece entra nello stesso luogo affollato, tira fuori la sua piccola pistola, uccide la vittima senza che assolutamente nessuno se ne accorga, con un solo colpo in mezzo alla fronte. Ecco, io faccio di tutto per essere questo secondo tipo di killer fotografo: il massimo del risultato con il minimo delle sforzo e del clamore!
Dopo queste due premesse il fatto di oggi, per entrare in tema.
E’ da un po’ che volevo fare un ritratto a Mauro Porcini: è un caro amico di miei cari amici, ma soprattutto è un’eccellenza italiana esportata alla grandissima all’estero e poi ogni volta che l’ho visto/sentito parlare sono rimasto stupito dall’energia positiva. Insomma, volevo fargli un ritratto con la mia macchina fotografica, che è la mia maniera, ovviamente, di posare l’attenzione sulle persone.
Gli ho chiesto quindi oggi di venire nel mio studio.
Abbiamo un po’ chiacchierato, come faccio sempre prima di fotografare una persona, per cercare di capire e soprattutto per stabilire una sorta di empatia.
Era a suo agio, tranquillo, anche se un po’ stanco dai bagordi del Salone del Mobile: ma non si vedeva, perfettamente in forma.
A quel punto lo porto sul set, nella mia luce naturale.
Ho il vecchio vizio di non usare l’esposimetro, faccio quasi sempre (sempre!) l’esposizione ad occhio, fidandomi della mia esperienza. Faccio allora, spesso, una cosa un po’ particolare, dopo aver messo l’esposizione secondo me giusta: scatto una foto verso il soggetto con la macchina non davanti al mio occhio, come se mi partisse un colpo. Lo faccio per verificare, senza dare troppo dell’occhio, la correttezza di tempo/diaframma/iso.
Ho fatto così anche con Mauro. Era un po’ scura, ho aperto solo un poco, tipo un diaframma.
A quel punto ho preso la mia macchina, me la sono portata all’occhio, ho guardato dentro e ho scattato. Click. Una foto.
Ho sentito subito di averla. Ce l’avevo.
Basta.
Non era necessario di andare oltre.
Questo lo screen shot della mia scheda (esatto, scatto in JPG), con i due scatti:
Ho pensato e ho detto: Mauro, siamo a posto, è sufficiente.
Ho scaricato la scheda, e il ritratto era quello. Punto.
Che poi, semplicemente messo in BW, è questo:
Perché racconto questo.
Intanto sì certo, per raccontare della mia velocità. Io sono consapevole di essere veloce come fotografo, ma non pensavo così veloce: un solo scatto!
Ma la questione non è questa, non racconto certo questa cosa per dire “guarda che figo, uno scatto solo!”. No.
La racconto per dire forte e chiaro che ciò che conta è la consapevolezza di sapere dove deve andare la freccia, nel mezzo del bersaglio. Se sei consapevole, tu Fotografo, quale è il bersaglio e, per mille e una ragione, al primo lancio becchi il centro, non è necessario sparare altre frecce! Non serve assolutamente! Se invece non esiste un bersaglio, una meta, un target, allora si possono sparare mille frecce, in qualche maniera vanno tutte bene.
Quindi, se c’è un insegnamento l’insegnamento è questo: prima di fare shooting è fondamentale sapere, capire e conoscere il vostro bersaglio.
Tutto qui!