WORKSHOP

31 Marzo 2011

le due parole che odio di più nell’ambito fotografico sono workshop e glamour, e non è un caso che spesso e volentieri viaggino unite.

lasciamo perdere (definitivamente!) il glamour e concentriamoci sui workshop: chissà com’è o come non è ma in italia adesso è tutto un trionfo di workshop! tutti fanno workshop!

vorrei non essere sempre lo stesso stronzetto spocchioso e fighetto (tutte cose che, lo sappiamo, peraltro sono…), vorrei farmi gli affari miei, vorrei qui e vorrei lì…ma non mi riesce: sappiatelo, quasi tutti (il 99%) dei workshop che vedete in giro sono enormi cazzate, perdite di tempo e di soldi, tenuti da dilettanti allo sbaraglio (se non sanno fare come è possibile che sappiano insegnare?!?)! ecco, l’ho detto.

uno dei pochi centri seri in italia per insegnare ciò che si può insegnare sulla fotografia è il TPW.

anche quest’anno ci sarò, a fine luglio: non venite da me! ci sono insegnanti ben migliori di me. veramente!

nel caso però voleste venire al mio corso (dove l’anno scorso i miei ragazzi hanno realizzato splendidi lavori!), per cercare di farvi capire di cosa si tratta ho chiesto a francesca stella, mia allieva l’anno scorso, di raccontare la sua esperienza. la parola a lei:

Squadra vincente non si cambia: laddove diversi saranno i contenuti e il docente del workshop che seguirò quest’estate, non ho avuto dubbi nello scegliere di nuovo il TPW per un altro viaggio dentro me stessa attraverso la fotografia. Lo scorso anno, il mio Virgilio fu Settimio, in un workshop sul nudo femminile, genere che esploravo per la prima volta. Lo scenario era quello del monastero di Sant’Anna in Camprena, sperduto nella quiete senza tempo delle colline toscane. Nel ripensarci, la mia mente torna a quella stanzetta bianca con il pavimento in cotto, i mobili di legno e il soffitto a volta, dove ogni notte, nonostante l’ora tarda e la stanchezza, mi ritrovavo a scrivere quelle che ho chiamato le “Lettere dal TPW”: momenti da incidere nella mia memoria, appunti mentali che da allora hanno impresso il loro segno sul mio approccio alla fotografia, nodi che si sono stretti attorno alle persone straordinarie che ho incontrato. Ne riporto qualche stralcio, con l’intento di restituire l’autenticità di alcune tra le sensazioni provate durante quella settimana.

Giorno 1.

Sono in trepidante attesa di quello che succederà al mio interno in una settimana che si preannuncia davvero ricca di spunti di riflessione. Cosa mi aspetto? Di portarmi a casa delle foto che abbiano un senso profondo per me, di mettermi fortemente in discussione e di confrontarmi con altre persone con tutte storie diverse tra loro. So che sarà anche molto divertente – già stasera avevamo le lacrime agli occhi per i racconti di Settimio e Giorgio, il suo assistente, sui loro recenti shoot – e sono certa che non dimenticherò mai questi giorni, tutti per me.

Giorno 2

La mia testa oggi è stata talmente bombardata che, esausta, ha sganciato a sua volta il peso della stanchezza sulle gambe. E pensare che, a parte la corsa di gruppo di questa mattina, sono stata seduta praticamente tutto il giorno. Settimio è una perla rara, un faro, una scossa di terremoto. Ti infila quei suoi occhi dentro e ti rivolta visceralmente. Rimescola, disfa i nodi, dipana la matassa dei dubbi e dei quesiti che ti sei sempre posto, fornendo una chiave di lettura, una formula universale.

Il progetto che ho in mente prende forma e si sviluppa ora dopo ora. Devo concentrarmi, chiudere tutto il resto fuori e fare silenzio dentro di me. Quello che è accaduto oggi nella limonaia (la nostra “sede operativa” nel monastero) non è nemmeno lontanamente immaginabile per chi non era presente. Occorre spogliarsi delle sovrastrutture: togliere, togliere e ancora togliere. Mollare gli ormeggi, uscire allo scoperto.

Giorno 3

Oggi ho gustato il baratro. L’ho visto da lontano, ho preso la rincorsa e mi sono buttata senza paracadute: ho fatto gli scatti più densi, sentiti e belli di sempre. Il risultato estetico è solo una conseguenza del fatto che esista un senso profondo in ciò che fotografiamo, e non può che essere così. Non sono più qui a usare bene congiuntivi e condizionali, ho finito di fare scatti fine a se stessi e di vagare senza bussola. Ora ho la chiave, il linguaggio e il contatto con me stessa.

Giorno 4

Un’ininterrotta giornata di “psicanalisi”. Siamo devastati… Settimio si è davvero consumato fino all’osso. Crisi, riflessioni sul progetto finale, ospiti inattesi, turbamenti, voci amiche, nuovi abbracci.  Il Max Casting al tramonto. E, alla fine della giornata, “La quercia” by night: Vinicio Capossela a tutto volume, un milione di stelle con la luna, una quercia millenaria, erba alta e morbide colline. Indimenticabile.

Giorno 5

Ho scattato per circa un’ora e mezza nei campi, alla quercia, e subito dopo sono filata in limonaia a scaricare le foto. Selezione di 14 scatti, postprodotti al volo in bianco e nero. Hanno una potenza incredibile e allo stesso tempo una delicatezza disarmante. Settimio le ha presentate agli altri docenti come il miglior progetto del suo gruppo e io non so contenere la gioia per questo risultato per me del tutto inatteso. Tra qualche ora c’è la proiezione con gli altri 44 partecipanti al TPW e ho già addosso la malinconia per la fine di quest’esperienza indimenticabile.

Giorno 6

Sono sul treno Chiusi-Roma, di ritorno dal TPW al mondo XYZ, che ora guardo in modo diverso perché ho dentro una quarta dimensione. Le mie gambe sono piene di graffi, i miei piedi punzecchiati dai rovi, la mia pelle riscaldata dal sole, le mie scarpe ricoperte di briciole di Toscana. I miei vestiti hanno ancora il sapore degli abbracci di un folto gruppo di nuovi amici, il mio computer custodisce gelosamente il frutto del “sangue” scorso in quest’ultima settimana, delle risate e dei turbamenti, delle mille parole condivise almeno venti ore al giorno con i miei compagni di viaggio. Tutto ciò che ho vissuto in Toscana mi risuona dentro con la potenza di un impianto da stadio. Ho visto il bianco della luce e il nero delle ombre, assaporato il dolce di un sorriso e il salato delle lacrime, affondato i piedi nella terra umida e librato le braccia nel cielo.

Settimio lo conoscevo già, ma ovviamente passarci un’intera settimana insieme, dalla partita di pallavolo la mattina presto fino alle chiacchiere notturne passando attraverso il fitto setaccio delle sue sessioni “didattiche” diurne in limonaia… beh, è un’altra cosa. Adoro il suo essere simpatico e spiritoso ma anche duro e tagliente, il modo in cui ti butta in faccia le cose scuotendoti dalle tue abitudini mentali piene di ragnatele. Si è messo in gioco in modi che lui stesso non aveva mai sperimentato, con l’unico scopo di far arrivare il suo messaggio in maniera efficace.

La frase con cui ha aperto il workshop è stata “Ho due notizie per voi, una buona e una cattiva. Quella cattiva è che non vi insegnerò nulla. Quella buona è che non avete nulla da imparare”. Abbiamo recepito moltissimo, ma Settimio non ha mai avuto atteggiamenti impositivi o intenti didascalici: tutto è uscito da noi grazie alla sua maieutica. Ci ha offerto la visione di un ribaltamento totale dell’atteggiamento verso la fotografia – sebbene poi il discorso vada anche al di là di quest’ultima – e sono certa che d’ora in poi faremo le cose in modo molto diverso da prima. Il concetto di progettualità e il senso del racconto di una storia sono sicuramente gli elementi che più mi rimarranno di questo percorso. La forza di Settimio sta nell’estrema sincerità del suo modo di proporsi, nella trasparenza dei suoi pensieri, nella capacità di mischiare l’alto e il basso senza mai annoiare. Grazie a quest’affettuosamente severa guida ho oltrepassato il punto di non ritorno, posando un altro importantissimo tassello nella mia formazione di fotografa e non solo.